Museo dell'Ara Pacis - Lungotevere in Augusta - Roma
L'Ara
Pacis fu restituita al pubblico dopo un lungo periodo di inaccessibilità,
dettato dai necessari lavori per realizzare le condizioni più idonee
alla conservazione del monumento nel lungo periodo. Ad un esame
dell'altare eseguito negli anni Novanta, le sue condizioni erano
risultate così preoccupanti da spingere l'Amministrazione Comunale
a prendere un impegno tanto importante: sostituire la teca basata
su un'idea Morpurgo nel 1938 perché del tutto insufficiente a proteggere
il prezioso monumento di età augustea dalle polveri, dai gas di
scarico, dalle vibrazioni, dagli sbalzi di temperatura e di umidità,
e musealizzare l'Ara Pacis secondo i più moderni criteri di conservazione.
Biglietti disponibili: biglietto salta fila
Gli spazi del museo progettato dallo studio dell'architetto statunitense
Richard Meier, sono modulati sul contrasto luce e penombra. Particolarmente
legati a questo effetto, risultano i primi due corpi di fabbrica:
dopo una zona in penombra, la Galleria di accesso, si passa al padiglione
centrale che ospita l'Ara Pacis, nella piena luce naturale che filtra
attraverso 500 mq di cristalli; questi, pur non interrompendo visivamente
la continuità con l'esterno, favoriscono il silenzio necessario
per il pieno godimento del monumento. Nella quiete dell'isolamento
acustico è possibile apprezzare i ritmi pacati dei motivi decorativi;
assistere allo scorrere del corteggio, posto lungo i fianchi del
recinto dell'Ara, composto dalle massime cariche sacerdotali di
età augustea e dai membri della famiglia imperiale, guidati dallo
stesso Augusto; ripercorrere le mitiche origini di Roma e le glorie
augustee che hanno donato all'impero la possibilità di vivere tempi
tanto felici da essere denominati seculum aureum.
Storia dell'Ara Pacis
L'Horologium Augusti, l'Ara Pacis
e il Mausoleo di Augusto nella ricostruzione di Edmund Buchner
(da Buchner 1976)
"Quando tornai a Roma dalla Gallia e dalla Spagna, sotto il
consolato di Tiberio Nerone e Publio Quintilio, portate felicemente
a termine le imprese in quelle province, il Senato decretò che si
dovesse consacrare un'ara alla Pace augustea nel Campo Marzio e
ordinò che in essa i magistrati, i sacerdoti e le vergini vestali
celebrassero ogni anno un sacrificio".
È con queste parole che
Augusto nelle Res Gestae, suo testamento spirituale, ci ha tramandato
la volontà del Senato di costruire un altare alla Pace, a seguito
delle imprese da lui portate a termine a nord delle Alpi tra il
16 e il 13 a.C., tra cui l'assoggettamento dei Reti e dei Vindelici,
il controllo definitivo dei valichi alpini, la visita alla Spagna
finalmente pacificata, la fondazione di nuove colonie e l'imposizione
dei nuovi tributi. La dedicatio dell'Ara Pacis, la sua inaugurazione,
ebbe luogo il 30 gennaio del 9 a.C. Sembra, stando alla testimonianza
dello storico Cassio Dione (LIV, 25.3), che in un primo momento
il Senato avesse proposto di edificare l'altare all'interno della
sua stessa sede, la Curia, ma l'idea non ebbe seguito e fu preferito
il Campo Marzio settentrionale, di recente urbanizzazione. L'altare
dedicato alla pace veniva così a trovarsi, non a caso, al centro
del vasto pianoro sul quale tradizionalmente si svolgevano le manovre
dell'esercito, della cavalleria e, in tempi più recenti, le esercitazioni
ginniche della gioventù romana.
La costruzione dell'Ara, su decisione dello stesso Augusto, avvenne
nel Campo Marzio settentrionale, in quella zona, prossima al confine
sacro della città (pomerium), dove quindici anni prima Ottaviano
aveva voluto edificare il suo Mausoleo, la tomba dinastica, ed ora,
preso il titolo di Augusto, si apprestava a costruire, contemporaneamente
all'Ara Pacis, il grande orologio solare che da lui avrebbe preso
il nome, l'Horologium o Solarium Augusti. Il greco Strabone ci ha
lasciato un resoconto ammirato della Roma augustea, che in quegli
anni si andava estendendo tra la via Lata, attuale via del Corso,
e l'ampia ansa del Tevere. Dopo aver descritto la pianura verdeggiante,
ombreggiata da boschi sacri, dopo aver detto dei portici, dei circhi,
delle palestre, dei teatri e dei templi che vi erano stati edificati,
Strabone passa a parlare della sacralità del Campo Marzio settentrionale,
sancita appunto dalla presenza del Mausoleo e dell'ustrinum, nel
quale, nel 14 d.C., verranno bruciate le spoglie mortali del principe.
Tra il Mausoleo e l'ustrinum si trovava un bosco sacro, ricco di
amene passeggiate. A sud-est invece, distanti circa 300 metri dal
Mausoleo, sorgevano l'Horologium e l'Ara Pacis - in verità non descritti
da Strabone - che delimitavano l'area del campus alla quale Augusto
affidava la sua memoria.
L'impianto urbanistico-ideologico ideato
per il Campo Marzio settentrionale ebbe vita breve e nel giro di
pochi decenni l'integrità dell'Horologium risultò compromessa. Nell'area
si determinò un generale e inarrestabile innalzamento di quota,
dovuto in gran parte agli straripamenti del Tevere; si cercò di
proteggere l'Ara Pacis con la costruzione di un muro che arrestasse
il processo di innalzamento del terreno, ma ovviamente a nulla valse
questa precauzione contro il continuo processo di interramento dell'intera
area: il destino dell'Ara Pacis appariva dunque segnato e la sua
obliterazione irreversibile. Per più di un millennio il silenzio
calò sull'Ara Pacis, facendo perdere persino la memoria del monumento.
Ricostruzione dell'Ara Pacis originale.
Il recupero dell'Ara Pacis, iniziato nel XVI secolo, si è concluso,
tra ritrovamenti fortuiti e scavi mirati, solo quattro secoli dopo
con la ricomposizione del monumento che risultò compiuta nel 1938.
La prima
notizia del riaffiorare dell'altare dalle fondamenta del palazzo
di Via in Lucina (successivamente di proprietà Peretti, poi Fiano,
poi Almagià) ci è fornita da un'incisione di Agostino Veneziano
eseguita prima del 1536 che raffigura un cigno ad ali spiegate con
un'ampia porzione del fregio a girali: segno evidente che a quella
data la corrispondente lastra dell'Ara Pacis era già nota.
Un successivo
recupero risale al 1566, anno in cui il cardinale Giovanni Ricci
da Montepulciano acquistò 9 grandi blocchi di marmo scolpiti, provenienti
dall'Ara. Dopo questi ritrovamenti, non si ha più notizia dell'altare
fino 1859, quando Palazzo Peretti, ormai divenuto di proprietà del
duca di Fiano, richiese lavori di consolidamento durante i quali
fu visto il basamento dell'altare e numerosi altri frammenti scolpiti,
non tutti estratti "per l'angustia del sito e pel timore di mettere
in pericolo i muri del palazzo". In quella occasione furono recuperati
numerosi frammenti del fregio a girali, ma solo nel 1903, a seguito
del riconoscimento dell'Ara operato da Friedrich von Duhn, fu inoltrata
una richiesta al Ministro della Pubblica Istruzione per la ripresa
dello scavo. Il suo accoglimento fu possibile grazie anche alla
generosa offerta di Edoardo Almagià, che oltre a dare il suo assenso
all'esplorazione, donò anticipatamente quanto sarebbe stato recuperato
sotto il suo palazzo ed offrì un consistente contributo economico
per le spese dello scavo. Nel luglio 1903, iniziati i lavori, fu
subito chiaro che le condizioni erano estremamente difficili e che
alle lunghe poteva essere compromessa la stabilità del palazzo.
Pertanto, esplorata circa metà del monumento e recuperati 53 frammenti,
lo scavo venne interrotto.
Nel febbraio 1937, il Consiglio dei Ministri
in vista del bimillenario della nascita di Augusto decretò la ripresa
dello scavo, con l'impiego di tecniche di avanguardia. Tra il giugno
e il settembre 1938 contemporaneamente allo scavo, si svolsero i
lavori del padiglione, che avrebbe ospitato la ricostruzione dell'Ara
Pacis sul Lungotevere. Il 23 settembre, il giorno stesso di chiusura
dell'anno augusteo, Mussolini inaugurò il monumento.
L'Ara Pacis.
Esterno: Il recinto è posto su un grande basamento marmoreo, quasi
interamente di restauro, suddiviso in due registri decorativi: quello
inferiore vegetale, quello superiore figurato, con rappresentazione
di scene mitiche ai lati dei due ingressi e con un corteo di personaggi
sugli altri lati. Tra di essi è una fascia di separazione con un
motivo a svastica, ampiamente ricostruita.
Registro superiore. Lato
ovest - Sul lato sinistro della fronte del recinto, si conserva il
pannello con la raffigurazione del mito della fondazione di Roma:
Romolo e Remo vengono allattati dalla lupa alla presenza di Faustolo,
il pastore che adotterà e alleverà i gemelli, e di Marte, il dio
che li aveva generati unendosi con la vestale Rea Silvia. Al centro
della composizione è rappresentato il fico ruminale, sotto il quale
vennero allattati i gemelli. Sull'albero si possono distinguere
gli artigli di un uccello, nel 1938 completato al tratto come un'aquila,
ma forse un picchio che, come la lupa, è sacro a Marte. Il dio è
rappresentato nelle sue vesti guerriere, munito di lancia, elmo
crestato ornato da un grifo e corazza sulla quale si distingue la
testa di una Gorgone. Sulla destra della fronte del recinto è visibile
il rilievo che raffigura Enea, già avanti negli anni, che sacrifica
ai Penati e pertanto è ritratto in veste sacerdotale con il capo
coperto, nell'atto di fare un'offerta su un altare rustico. La parte
finale del braccio destro è andata perduta, ma quasi certamente
sorreggeva una patera, una coppa rituale, come fa supporre la presenza
di un giovane assistente al rito (camillus) che porta un vassoio
con frutta e pani e una brocca nella mano destra. Un secondo assistente
al rito sospinge una scrofa verso il sacrificio, probabilmente sul
luogo stesso in cui verrà fondata la città di Lavinium se si interpreta
la scena alla luce dell'VIII libro dell'Eneide. Recentemente, tuttavia,
è stato ipotizzato che il personaggio che sacrifica sia Numa Pompilio,
il secondo dei sette re, che proprio nel campo Marzio celebrò un
sacrificio alla concordia tra sabini e romani, in occasione del
quale venne sacrificata una scrofa.
Lato Est - A sinistra del lato
est del recinto, è il pannello con la raffigurazione della Tellus,
la Terra madre, ovvero, secondo una diversa interpretazione, Venere,
madre divina di Enea e progenitrice della Gens Iulia, cui appartiene
lo stesso Augusto. Un'ulteriore lettura interpreta questa figura
centrale come la Pax Augusta, la Pace, da cui l'altare prende nome.
La dea siede sulle rocce, vestita di un leggero chitone. Sul capo
velato, una corona di fiori e di frutta. Ai suoi piedi, un bue ed
una pecora. La dea sostiene ai suoi lati due putti, uno dei quali
attira il suo sguardo porgendole un pomo. Nel suo grembo, un grappolo
d'uva e dei melograni completano il ritratto della divinità genitrice,
grazie alla quale prosperano uomini, animali e vegetazione.
Ai lati
del pannello due giovani donne, le Aurae velificantes, l'una seduta
su un drago marino, l'altra su un cigno, simbolo rispettivamente
dei venti benefici di mare e di terra. Sul pannello di destra si
conserva invece un lacerto del rilievo della dea Roma. La figura
rappresentata, è stata completata "a graffio" su malta. In considerazione
del fatto che è seduta su un trofeo di armi, non può essere che
la dea Roma, la cui presenza va letta in stretta relazione a quella
della Venere-Tellus, poichè la prosperità e la pace sono garantite
da Roma vittoriosa. La dea è rappresentata come un'amazzone: il
capo cinto dall'elmo, il seno destro denudato, il balteo a tracolla
che sorregge una corta spada, un'asta nella mano destra. Molto probabilmente
facevano parte della scena le personificazioni di Honos e Virtus,
posti ai lati della dea, nelle sembianze di due giovani divinità
maschili.
Lati nord e sud - Sono rappresentate due affollate
schiere di personaggi, che si muovono da sinistra verso destra;
tra di essi compaiono sacerdoti, assistenti al culto, magistrati,
uomini, donne e bambini, la cui identità storica è ricostruibile
solo in via ipotetica. L'azione compiuta dal corteo non è del tutto
certa: infatti secondo alcuni, la scena rappresenta il reditus di
Augusto, cioè la cerimonia di accoglienza tributata al princeps al ritorno dal suo lungo soggiorno in Gallia e in Spagna; secondo
altri, rappresenta l'inauguratio della stessa Ara Pacis, cioè la
cerimonia durante la quale, nel 13 a.C., si procedette a delimitare
e consacrare lo spazio sul quale sarebbe sorto l'altare. Il corteggio,
su entrambi i lati del recinto, è aperto dai littori, seguiti da
membri dei massimi collegi sacerdotali e forse dai consules. Subito
dopo iniziano a sfilare i membri della famiglia di Augusto.
Sul
lato Sud, sono stati riconosciuti con certezza lo stesso Augusto,
coronato di alloro, i quattro flamines maiores, sacerdoti dal caratteristico
copricapo sormontato da una punta metallica, Agrippa, raffigurato
con il capo coperto dal lembo della toga e con un rotolo di pergamena
nella mano destra ed infine il piccolo Gaio Cesare, suo figlio,
che si tiene alle vesti paterne. Agrippa è l'uomo forte dell'impero,
amico e genero di Augusto, di cui ha sposato in seconde nozze la
figlia Giulia. E' inoltre padre di Gaio e Lucio Cesari, adottati
dal nonno e destinati a succedergli nel comando. Gaio è rivolto
verso la figura femminile che lo segue, nella quale è solitamente
riconosciuta Livia, la sposa del principe, rappresentata con il
capo velato e la corona di alloro che ne fanno una figura di alto
rango. Secondo un'interpretazione più recente, questa figura andrebbe
invece identificata con Giulia, che qui comparirebbe a seguito del
marito e del suo primogenito Gaio. Nella figura maschile che segue
viene generalmente riconosciuto Tiberio, anche se questa identificazione
va messa in dubbio in considerazione del fatto che il personaggio
indossa dei calzari plebei, particolare che non si addice a Tiberio,
discendente da una delle famiglie romane di più antica nobiltà.
Al cosiddetto Tiberio fa seguito un gruppo familiare, probabilmente
formato da Antonia Minore, nipote di Augusto, da suo marito Druso
e dal loro figlioletto Germanico. Druso è l'unico ritratto in vesti
militari, con la caratteristica veste militare, il paludamentum:
infatti nel 13 a.C. egli si trovava impegnato a combattere le tribù
germaniche ad est del Reno. Segue un secondo gruppo familiare, verosimilmente
formato da Antonia Maggiore, nipote di Augusto, dal suo sposo Lucio
Domizio Enobarbo, console nel 16 a.C., e dai loro figli Domizia
e Gneo Domizio Enobarbo, futuro padre di Nerone.
Lato Nord. Iniziando
la lettura da sinistra, tra i personaggi che sfilano è stato riconosciuto
Lucio Cesare, secondogenito di Agrippa e Giulia, anch'egli adottato
da Augusto. Qui è raffigurato come il più piccolo dei fanciulli,
condotto per mano. La figura femminile velata che segue potrebbe
essere quella della madre Giulia, verso la quale convergono gli
sguardi di quanti stanno intorno. Molti però ritengono che Giulia
andrebbe riconosciuta sull'altro lato del corteggio, al posto di
Livia che la verrebbe quindi a sostituire su questo lato. La figura
matronale posta alle spalle della Giulia / Livia, è generalmente
riconosciuta come Ottavia Minore, sorella di Augusto. Tra le due
donne si staglia in primo piano la figura di un giovanetto, riconosciuto
come terzo figlio di Agrippa e della prima moglie di lui Marcella
Maggiore. Alle spalle di Ottavia è ben visibile la piccola Giulia
Minore che in quanto nipote di Augusto, gode il diritto di comparire
per prima tra le bambine presenti alla cerimonia. Resta invece molto
incerta l'identità delle figure alle spalle della piccola Giulia.
Registro inferiore. Lati nord e sud - Il registro inferiore del recinto
è decorato con un fregio vegetale composto da girali che partono
da un rigoglioso cespo di acanto; dal centro dell'acanto si innalza
verticalmente una candeliera vegetale. Dai girali dell'acanto si
sviluppano foglie di edera, di alloro, di vite, si dipartono viticci
e palmette, e laddove gli steli si assottigliano, avvolgendosi a
spirale, sbocciano fiori di ogni varietà. Nella fitta vegetazione
trovano ospitalità piccoli animali e venti cigni ad ali spiegate,
che scandiscono il ritmo della composizione. Questo rilievo vegetale
è stato spesso riferito alla IV Ecloga di Virgilio, dove il seculum
aureum, il ritorno dell'età felice e pacifica si annuncia con la
produzione copiosa e spontanea di frutti e messi. Aldilà del richiamo
generico alla fertilità e all'abbondanza, conseguente al ritorno
dell'età dell'oro, il fregio può essere letto anche come un'immagine
della pax deorum, della conciliazione delle forze divine che reggono
l'intero universo, resa possibile dall'avvento di Augusto.
Interno: L'Ara Pacis, composta da un recinto che racchiude laltare
propriamente detto, riproduce le forme di un templum minus, così
descritto da Festo: "I templa minora sono creati dagli Auguri (sacerdoti)
recingendo i luoghi prescelti con tavole di legno o con drappi,
in modo che non abbiano più di un ingresso, e delimitando lo spazio
con formule stabilite. Dunque il tempio è il luogo recintato e consacrato
in modo da restare aperto su un lato ed avere angoli ben fissati
a terra". Se si fa eccezione per gli ingressi, che nel caso dell'Ara
Pacis sono due, questa descrizione si adatta particolarmente bene
a questo monumento e alla sua decorazione interna che, nella parte
inferiore, rappresenta il tavolato di legno che, nei templi arcaici,
delimitava lo spazio "inaugurato" con formule sacre. L'interno del
recinto si presenta, come l'esterno, diviso in due zone sovrapposte
e separate da una fascia decorata a palmette: nel registro inferiore
la decorazione, semplificata, sembra riprodurre il motivo delle
assi del recinto in legno che delimitava lo spazio sacro; il registro
superiore invece è arricchito da un motivo di festoni e bucrani
(teschi animali) intervallati da paterae o coppe rituali. Anche
questo motivo rimanda alla decorazione che veniva posta sopra la
recinzione lignea, in questo caso ornata con ghirlande straordinariamente
cariche di spighe, di bacche e di frutta di ogni stagione, sia coltivata
che spontanea, fissate ai sostegni tramite vittae, o bende sacre.
Altare: L'Ara Pacis è composta da un recinto che racchiude la mensa,
l'altare propriamente detto sul quale si offrivano le spoglie animali
e il vino. La mensa occupa quasi totalmente lo spazio interno al
recinto, dal quale è separato da uno stretto corridoio il cui pavimento
si presenta leggermente inclinato verso l'esterno, in modo tale
da favorire la fuoriuscita delle acque, sia piovane che dei lavacri
successivi ai sacrifici, attraverso canalette di scolo aperte lungo
il perimetro. L'altare è costituito da un podio di quattro gradini
sul quale poggia un basamento, che presenta altri quattro gradini
sulla sola fronte. Sopra di essi si eleva la mensa, stretta tra
due avancorpi laterali. Le due sponde laterali presentano acroteri
a volute vegetali e leoni alati. Sull'interno della sponda sinistra
si distinguono le Vestali, sei in tutto, rappresentate a capo coperto:
sono le virgines nominate dal pontifex maximus, la massima carica
sacerdotale, scelte tra le fanciulle aristocratiche comprese tra
i sei e i dieci anni di età, le quali restavano custodi del fuoco
sacro per 30 anni. Qui le vediamo nel corso della cerimonia accompagnate
da aiutanti. Del fregio che fronteggia quello delle Vestali, non
rimane invece che un frammento con due figure, la prima delle quali
rappresenta un sacerdote, più esattamente un flamen, mentre nel
personaggio che segue si è voluto riconoscere lo stasso Auguto,
forse rappresentato nella veste di pontifex maximus, carica che
assunse nel 12 a.C., proprio mentre l'Ara Pacis era in costruzione.
Sulla sponda destra esterna si conserva una processione con tre
animali, due bovini e una pecora, condotti al sacrificio da dodici
addetti (victimarii). Nelle loro mani gli strumenti del sacrificio:
i vassoi, il coltello, la mazza e il ramo d'alloro per l'aspersione.
Sono preceduti da un togato (o forse un sacerdote) accompagnato
da aiutanti e assistenti al culto. Molto probabilmente, i frammenti
del fregio dell'altare sono riferibili ad un sacrificio, forse quello
stesso alla Pax Augusta che il Senato aveva decretato si celebrasse
ogni anno, il 30 gennaio, nella ricorrenza della consecratio dell'altare.
Come arrivare al Museo dell'Ara Pacis
- in metro: la fermata più vicina è Spagna (linea A). Poi a piedi in Via Condotti fino al Lungotevere dove sorge il Museo dell'Ara Pacis.
- in autobus: linee n° 40, 85, 628.
Informazioni utili per la visita
Orari: dal martedì
alla domenica dalle 9 alle 19; il 24 e 31 dicembre dalle 9 alle
14; chiuso il lunedì, il 1° gennaio, il 1° maggio
ed il 25 dicembre. La biglietteria chiude un'ora prima.
Biglietto d'entrata: intero €
10,50, ridotto € 8,50. Per i cittadini residenti nel Comune di Roma
(mediante esibizione di valido documento che attesti la residenza)
intero € 8,50, ridotto € 6,50. Gratito per minori di 6 anni.
Ridotto per cittadini dell'Unione Europea di età compresa
tra i 6 e i 25 anni; residenti del Comune
di Roma di età compresa tra i 20 e i 25 anni; docenti con
incarico a tempo indeterminato delle scuole statali e comunali;
iscritti all’Istituzione Biblioteche di Roma Capitale, in
possesso di Bibliocard; possessori di abbonamento annuale ATAC e
di Metrebus card annuale, possessori della card RomaPass relativamente
all'ingresso dal 3° sito in poi.
Per la gratuità si rimanda al sito ufficiale che enumera
tutte le categorie che possono accedere al titolo gratuito d'entrata.
Accessibilità ai disabili:
ingresso tramite rampa. Percorso espositivo privo di barriere architettoniche.
Servizi igienici omologati.
Telefono: 0039.06.0608
Sito Web: Museo dell'Ara Pacis |