Raoul Dufy. Il pittore della gioia - Palazzo Cipolla, Via del Corso, 320 - Roma
(Foto: Dufy Raoul. La terrazza sulla spiaggia, 1907. Olio su tela 46x55 cm. MAM Paris. Paris Musées / Musée d'Art Moderne. Droits d'auteur © ADAGP
© Raoul Dufy by SIAE 202)
Mostra
in corso dal 14 ottobre 2022 al 26 febbraio 2023
Dal 14 ottobre 2022, le sale di Palazzo Cipolla ospitano la prima grande esposizione mai realizzata in Italia e dedicata a uno dei maestri dell’arte moderna, Raoul Dufy (Le Havre, 3giugno 1877 – Forcalquier, 23 marzo 1953).
Comunicato Stampa della Mostra Raoul Dufy. Il pittore della gioia
La mostra, promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale per volontà del suo
Presidente Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, è realizzata da Poema con il supporto
organizzativo di Comediarting e Arthemisia, ideata dal Musée d’Art Moderne de Paris e
curata da Sophie Krebs con il contributo di Nadia Chalbi.
Catalogo edito da Skira.
Autore di opere monumentali come La Fée Electricité (La Fata Elettricità, 1937 – 1938, Musée
d’Art Moderne de Paris) - uno dei dipinti più grandi al mondo, di una lunghezza complessiva di 6
metri, composto da 250 pannelli e commissionatogli dalla “Compagnie Parisienne de
Distribution d’Électricité” per essere esposto nel Padiglione dell'elettricità all’Esposizione
Internazionale del 1937 a Parigi -, Dufy fu un grande pittore, scenografo e disegnatore francese
di inizio ‘900 che, per la sua capacità di catturare le atmosfere, i colori e l’intensità della luce e a
trasferirli sulle sue tele, divenne - per antonomasia - il pittore della gioia e della luce.
Nacque da una famiglia di modeste condizioni economiche ed ebbe un padre attivo come
organista che trasferì in particolare a Raoul la sua stessa passione per la musica, che lui coltivò
per tutto il resto della vita trasponendola anche nelle sue opere. §
In seguito a una crisi finanziaria della famiglia, nel 1891 il giovane Raoul fu costretto a cercare
lavoro a Le Havre.
Nell'ambiente artistico straordinariamente stimolante di Parigi si avvicinò a due maestri
dell'impressionismo come Monet e Pissarro ma, nel 1905, lo scandalo dei Fauves gli rivelò una
pittura moderna e “di tendenza” che lo portò ad avvicinarsi a Matisse.
Il 1903 fu l'anno della sua prima volta al Salon des Indépendants, nel quale espose fino al 1936
e poi fu accettato nel 1906 al Salon d'Automne (fino al 1943).
La sua attività artistica non conobbe interruzioni e, dal 1910, ampliò la sua attività nel campo
delle arti decorative affermandosi con successo in una produzione assai vasta, dalla xilografia
alla pittura e alla grafica, dalle ceramiche ai tessuti, dalle illustrazioni alle scenografie. Con un’attività artistica che non conobbe interruzioni fino alla sua morte, tutto ciò gli consentì di
recuperare la sua tavolozza squillante, cui sovrappose un tocco grafico vibrante e allusivo.
Suddivisa in 13 sezioni tematiche, la mostra racconta l’intero percorso artistico del pittore
francese, attraverso molteplici opere che abbracciano varie tecniche nei diversi decenni del
Novecento, dagli inizi fino agli anni Cinquanta, quando Dufy cercò nuovi temi a causa della
guerra e della malattia che lo costrinse a rimanere nel suo studio nel sud della Francia.
Un excursus che trova il suo leitmotiv nella violenza cromatica, nella magia di quel colore che
diventa elemento indispensabile per la comunicazione di emozioni e stati d’animo.
Un’evoluzione che vede Dufy inizialmente prosecutore di quella tradizione impressionista
germogliata con Monet proprio nella sua città natale di Le Havre e poi insieme ai Fauve che,
radunati attorno alla figura di Matisse, reagiranno presto alla pittura d'atmosfera e a quel
dipingere dominato dalle sensazioni visive, per poi approdare infine ad abbracciare l’austerità
cezanniana con la quale le forme, le zone piatte di colori accesi o addirittura violenti sono
indipendenti dalla linea che accenna appena a circoscriverle.
Onde a V rovesciata, nuvole e un mondo di forme: bagnanti, uccelli, cavalli, paesaggi ispirati sia
dalla modernità che dal classicismo.
Predilige i paesaggi marittimi e ama particolarmente gli ippodromi che gli daranno grande
successo. Sensibile all’aria del proprio tempo, si interessa infatti alla società dell’intrattenimento
con le sue corse, le regate, gli spettacoli elitari e popolari al contempo che Dufy riproduce con
brio e vivacità.
Un artista alla perenne ricerca di stimoli e sperimentazione, in grado di rendere l’arte impegnata
ma allo stesso tempo apparentemente “leggera”, il cui scopo dichiarato era, come scrive la
scrittrice americana Gertrude Stein, di arrecare piacere.
La mostra Raoul Dufy. Il pittore della gioia, con oltre 160 opere tra dipinti, disegni, ceramiche
e tessuti provenienti da rinomate collezioni pubbliche e private francesi - come il Musée d’Art
Moderne de Paris che conserva di Dufy una delle più ricche collezioni, dal Centre Pompidou,
Palais Galliera, la Bibliothèque Forney e la Bibliothèque littéraire Jacques Doucet tutte di
Parigi insieme al Musée de la Loire, Musée des Tissus et des Arts Décoratifs di Lione, il
Musée des Beaux-Arts Jules Chéret di Nizza e al Musée Royaux des Beaux-Arts de
Belgique di Bruxelles - racconta la vita e l’opera di un artista con lo sguardo sempre rivolto alla
modernità, pervaso da una vivacità che ha saputo adattare a tutte le arti decorative,
contribuendo a cambiare il gusto del pubblico.
Curata dalla Chief curator Sophie Krebs e Nadia Chalbi responsabile delle mostre e delle
collezioni del Musée d’Art Moderne de Paris, la mostra è un viaggio emozionale attraverso i
temi prediletti dall’artista, dove le sensazioni visive ridotte all’essenza della realtà, l’utilizzo della
composizione, della luce e del colore sono gli elementi emblematici che caratterizzano le sue
opere.
Afferma il Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo
Pilastro – Internazionale: «Sono molto lieto di ospitare, presso lo spazio espositivo di Palazzo
Cipolla, una mostra su Raoul Dufy, che viene riproposta a Roma dopo quasi quarant’anni di
oblio (la prima ed unica esposizione su Dufy nella Capitale, prima di oggi, è stata infatti quella
del 1984 a Villa Medici). Spesso non compreso a fondo, a causa dell’apparente semplicità del
suo tratto pittorico, che gli ha fatto non di rado attribuire la patente di superficialità e mondanità,
Raoul Dufy in realtà ebbe una formazione articolata e complessa: fu inizialmente influenzato
dall’Impressionismo, perpetuando con maestria la tradizione di Monet e contando sulla
peculiarità di essere un “colorista per temperamento”; successivamente, si accostò al Fauvismo
ispirandosi alle figure di Matisse, Braque e Cézanne. La particolarità di Dufy risiede nel
dissociare gradualmente, nel corso della sua maturazione artistica, il colore dal disegno,
semplificando il più possibile ed anteponendo in tal modo la forma al contenuto. Egli –
seguendo la propria teoria che il colore servisse ai pittori per captare la luce – viaggiò a lungo
nel Mediterraneo, in particolare in Provenza (dove si stabilì) e nel Sud Italia. Da qui i celebri
paesaggi, i bagnanti, i campi di grano, e poi le sale da concerto e soprattutto le regate, le corse
dei cavalli e gli ippodromi, a raffigurare la società del tempo libero degli anni Venti e Trenta, che
lo renderanno popolare tra il pubblico».
LA MOSTRA
Prima sezione - Sulle orme di Cézanne
Raoul Dufy è un esponente del movimento che si rifà ai grandi nomi del post-impressionismo, Van
Gogh, Gauguin e soprattutto Cézanne che gioca un ruolo di assoluto rilievo in seno all’avanguardia
artistica: “Cézanne è il padre di tutti noi”, dirà Picasso.
Dopo essersi scontrato con la leggibilità del quadro durante il periodo fauve, dal 1907 al 1908, Dufy si
rivolge al metodo cézanniano che prescrive di costruire le forme attraverso il colore, i piani e i volumi
geometrici. Nel 1908, il soggiorno a L’Estaque sulle orme di Cézanne, lo incoraggia a seguire il percorso
che condivide con Georges Braque.
Braque e Dufy dipingono insieme gli stessi siti amati dal maestro di Aix – alberi scheletrici e angolosi,
case cubiche, baie schematizzate – e creano composizioni dense, dalla gamma cromatica ridotta agli
ocra e ai verdi. Dufy realizza una quindicina di tele caratterizzate da quell’austerità formale, ma è meno
radicale di Braque.
Una volta tornato a Parigi, dal 1910 al 1914, Dufy dipinge nature morte in cui combina toni vivaci,
pennellate direzionali e densità dei volumi. Domina in quelle tele l’impronta costruttiva di Cézanne come
rimarca la Grande bagnante (1913), il capolavoro di questo periodo, ma il Giardino abbandonato
(gabbia, uccelli) e Casa e giardino (1915) puntano sulla stilizzazione decorativa con gli arabeschi di
fogliame che evocano i progetti tessili elaborati dall’autore nella stessa epoca.
Dopo la guerra, Dufy continua a guardare a Cézanne nei paesaggi realizzati a Vence, ma il suo nuovo
stile si fa già avvertire nelle ampie campiture colorate sulle quali disegna facendo volteggiare il pennello.
Seconda sezione - Incisioni e libri
Raoul Dufy realizza le prime xilografie nel 1907 per illustrare una raccolta di poesie di Fernand Fleuret –
Friperies (pubblicata nel 1923) – e poi il Bestiario o Il corteggio d’Orfeo di Guillaume Apollinaire
(pubblicato nel 1911), un’opera cui Picasso aveva rifiutato di lavorare. Concepita ispirandosi ai bestiari
medievali, quell’illustrazione è un capolavoro di inventiva che gioca sui contrasti del bianco e del nero.
Dufy contribuisce con quel lavoro al rinascita dell’incisione su legno, in atto dalla fine dell’Ottocento,
promossa, tra gli altri, da Remy de Gourmont e Alfred Jarry e assai apprezzata dagli artisti
d’avanguardia. Si serve di questa tecnica per illustrare Les élégies martiales di Roger Allard (1917) per
poi passare alla litografia con Madrigaux di Stéphane Mallarmé (1920) e Il poeta assassinato di
Apollinaire (1926).
A partire dal 1925 riproduce l’atmosfera pittoresca delle città del meridione francese illustrando testi
quali La terre frottée d’ail di Gustave Coquiot, La belle-enfant o l’amour à quarante ans di Eugène
Montfort (1930) e Le avventure prodigiose di Tartarin di Tarascona (1937). I nutrimenti terrestri (1934) di
André Gide evoca un universo bucolico e “douce France” sviluppato, nel secondo dopoguerra, anche in
Per un erbario (1951) di Colette e Vacanze forzate (1956) di Roland Dorgelès. Paesaggi agresti, mazzi
di fiori selvatici, scene di vita rurale, nature morte in giardino, sono i temi principali di queste opere
eseguite ad acquerello.
Terza sezione - Moda e decorazione
Alla fine del 1910, lo stilista Paul Poiret – grande ammiratore delle xilografie del Bestiario – propone a
Dufy di creare un laboratorio artigianale per la stampa su tessuto, la Petite Usine. Dufy traspone la
tecnica della xilografia in ambito tessile, studia con l’aiuto di un chimico tutte le fasi della produzione e
disegna per la maison Poiret sontuose stoffe stampate per la moda e l’arredamento.
Quel primo successo vale a Dufy un ingaggio da parte della seteria lionese Bianchini-Férier dal 1912 al
1928. Adatta le sue creazioni tessili alla produzione industriale e attinge in quell’ambito ai suoi motivi
prediletti: i fiori, tra i quali la rosa; le fantasie animalier ed esotiche; il mare e i soggetti mitologici; ma
anche Parigi, la vita contemporanea e lo sport; e per finire le decorazioni astratte e geometriche il cui
vero protagonista è il colore stesso.
Dopo la chiusura della Petite Usine, alla fine del 1911, Dufy prosegue la collaborazione con Poiret nei
settori della moda, dei profumi, dell’illustrazione e della decorazione e realizza i quattordici parati
monumentali che adornano la chiatta Orgues in occasione dell’Esposizione internazionale delle arti
decorative e industriali moderne del 1925.
Data la loro qualità e creatività, quelle decorazioni – i cui bozzetti a gouache sono vere e proprie opere
d’arte a sé stanti – si inscrivono appieno nella corrente art déco e contribuiscono allo sviluppo dello stile
di Dufy, un autore che nel corso della carriera concretizzerà una straordinaria alleanza tra pittura e arte
decorativa.
Quarta sezione - La bagnante
L’opera di Raoul Dufy è costellata di reminiscenze dell’infanzia trascorsa a Le Havre, tra le quali la
bagnante osservata sulla spiaggia di Sainte-Adresse che ai suoi occhi rappresenta “la prima rivelazione
della bellezza plastica”. Dufy trasforma quella figura in un motivo iconografico centrale e ricorrente,
declinandola in un numero infinito di varianti.
La grande bagnante (1914), caratterizzata da una monumentalità impressionante, è incontestabilmente
il capolavoro del suo periodo cézanniano. Così ne descrive la genesi: “Ed ecco, su una tela di quattro
metri quadrati, il primo spettacolo che ha deliziato un tempo i miei occhi di ragazzo e che immortalo per i
posteri, quasi vent’anni dopo aver goduto di quella cosa chiamata spiaggia. Possano gli amanti della
pittura, del mare d’estate e delle donne in costume da bagno trarne qualche piacere”.
Questa visione di una bagnante moderna si arricchisce di una dimensione mitologica e allegorica tramite
il rimando alla figura di Anfitrite, che compare nel repertorio decorativo di Dufy nel 1925, dopo il viaggio
in Italia e la scoperta dei siti antichi della Sicilia del 1922. La Nereide seduta di fronte al mare, con una
conchiglia all’orecchio, ripete la posa della Grande bagnante, ma vi infonde un carattere immaginario e
fuori dal tempo. Associata a Venere, cui Dufy dedica varie composizioni ispirate a Botticelli, Anfitrite
viene trasposta nell’universo dell’atelier in Nudo con conchiglia (1933).
Figure che rimandano alle naiadi e alle dee della cultura greco-romana decorano anche le coppe, le
piastrelle in maiolica e i vasi realizzati a partire dal 1922 con il ceramista Josep Llorens Artigas.
Quinta sezione - Il viaggio in Italia
Da marzo a maggio del 1922, Raoul Dufy viaggia per l’Italia, visita Firenze, Roma, Napoli e poi la Sicilia
(Catania, Caltagirone, Calatabiano, Scordia, Alcantara e Taormina). Pur non dipingendo vedute di città
italiane, rimane impressionato dalla natura atemporale della Sicilia.
I quadri ispirati da quel viaggio (una ventina di dipinti eseguiti tra il 1922 e il 1923) esibiscono la nuova
organizzazione dei colori che Dufy aveva iniziato a studiare durante il soggiorno a Vence nel 1920-1921.
La luce densa e costante del Mediterraneo gli permette di semplificare la sua gamma cromatica.
Per riprodurre la vegetazione, in particolare gli eucalipti e gli ulivi, ricorre all’arabesco e al ghirigoro pur
conservando l’apparenza strutturale dei tronchi. Procede nello stesso modo per raffigurare le nuvole
bianco-grigie, le tegole dei tetti che creano un merletto di riccioli e il mare costellato da “v” che
rappresentano le onde. Tutti questi segni diventeranno elementi identificativi del suo stile. Privilegiando
un’angolazione dall’alto verso il basso ed evitando la vista a livello del suolo che rende pittoresco
l’insieme, l’artista gioca sui rapporti di grandezza tra gli elementi del paesaggio.
Per Dufy, la Sicilia rappresenta l’Antichità vivente, una sorta di paesaggio virgiliano: “Sono nello stato
d’animo di uno di quegli edonisti inglesi che hanno viaggiato a lungo e ci annoiano con il racconto dei
loro vagabondaggi. Sono a Porto Ulisse, penso a Omero”. È grazie al soggiorno in Sicilia che Dufy si
riconnette al paesaggio classico, quello di Claude Gellée, più noto come Le Lorrain.
Sesta sezione - Il grano
Sebbene i paesaggi scandiscano tutta l’opera di Raoul Dufy, pensando a lui vengono in mente
soprattutto le marine e le vedute dei litorali della Normandia e della Costa Azzurra, le mecche della
mondanità. Tuttavia, il suo interesse per la natura non è circoscritto a quei panorami e, a partire dal
1910, dipinge le stagioni e il lavoro nei campi.
I covoni di grano, una sorta di ode alla madre terra, entrano nel repertorio decorativo di Dufy dal 1919,
quando compaiono in due parati disegnati per Bianchini-Férier e Poiret, oltre che su una piastrella e un
vaso in ceramica – decorati da spighe di grano – nati dalla collaborazione tra il pittore e il ceramista
Artigas.
Negli anni trenta, Dufy dedica una serie di dipinti ai campi di grano rifacendosi a Van Gogh, un maestro
che ammira. Nel corso di tre estati, dal 1933 al 1936, esegue una cinquantina di paesaggi raffiguranti il
territorio di Langres. Quadri in cui l’autore convoca Cerere, l’antica dea protettrice delle messi che
infonde in quelle scene – celebrazioni di una terra dell’abbondanza in cui l’uomo vive in armonia con la
natura – una dimensione allegorica e virgiliana.
I temi agresti vengono ripresi nelle decorazioni monumentali realizzate per l’Esposizione internazionale
delle Arti e delle Tecniche del 1937: La Fée Electricité (La Fata Elettricità) e la sala da fumo del Palais
de Chaillot, affidata a Dufy e Othon Friesz. Compaiono inoltre nei parati realizzati per Jean Lurçat nel
1941 e per Louis Carré nel 1948. La serie di opere dedicata alla trebbiatura (1945-1953) esalta le
semplici gioie della vita rurale e le ricchezze della natura, lo stesso tema illustrato dal suo ultimo dipinto,
rimasto incompiuto.
Settima sezione - Corse e cavalli
Raoul Dufy viene reso celebre dalle scene raffiguranti corse di cavalli e ippodromi prodotte negli anni
venti e trenta, il fatto che il pubblico lo associ quasi esclusivamente a quella tematica spingerà l’artista a
smettere di lavorare a una serie diventata, secondo lui, troppo aneddotica. Le opere ispirate al mondo
dell’ippica, dipinte a partire dal 1913 e fino al 1939, nascono dalla sua frequentazione dello stilista Paul
Poiret.
Negli ippodromi, Dufy scopre un intero cerimoniale: le modelle e le signore eleganti vestite con abiti di
grandi stilisti si mescolano ai fantini dalle casacche multicolori. Il pittore osa ogni tipo di audacia
cromatica per rappresentare la fauna degli appassionati, le tribune affollate, le bandiere al vento e i
paddock incastonati in un paesaggio sfolgorante. Dal 1923 al 1924 dipinge gli ippodromi francesi di
Deauville, Chantilly e Longchamp e nel corso dei suoi soggiorni in Gran Bretagna, dal 1930 al 1932,
quelli di Ascot, Epson e Goodwood.
Rispetto a Edgar Degas, non sono tanto i cavalli, i fantini o il movimento a interessarlo, ma l’insieme
dello spettacolo delle corse in una sintesi abbagliante di colori. Prendendosi grandi libertà con la
prospettiva, dipinge soggetti fuori scala per esaltarne l’importanza e trascura invece i dettagli.
Le scene ippiche gli consentono di sfruttare al meglio il procedimento del “colore-luce”. Decide di
illuminare ogni cosa da entrambi i lati, abbandonando il tono locale. Ma gli oggetti si contaminano a
vicenda e inducono il pittore a bilanciare l’insieme definendo spesso due o tre zone di colore verticali
che sfumano l’illuminazione generale.
Ottava sezione - Musica e Arlecchino
“Il mare e la musica, ecco cosa mi ha cullato in giovinezza”.
Nato in una famiglia di musicisti e grande appassionato di musica, Raoul Dufy crea un corpus di opere
straripanti di musicalità. Sin dagli esordi impressionisti, esprime la sua passione per quell’arte con
l’Orchestra di Le Havre del 1902, seguita da Omaggio a Mozart nel 1915. Quelle tele fanno da preludio
alle numerose rappresentazioni di orchestre, quintetti, balletti, nature morte con strumenti musicali e
omaggi ai grandi compositori – Mozart, Bach, Debussy – che illuminano il suo lavoro degli anni
quaranta.
Negli anni dieci, Guillaume Apollinaire introduce l’artista nell’ambiente letterario e Dufy inizia a
frequentare gli esponenti dell’avanguardia musicale e a disegnare scenografie per il teatro. Durante gli
anni della guerra, la musica assume un ruolo preponderante. Il pittore stringe amicizia con Pablo Casals
e i membri della sua cerchia, rifugiatisi come lui a Perpignan. Improvvisa concerti privati nel proprio
studio, frequenta il teatro municipale e assiste a spettacoli di sardana e carnevali.
Traspone quell’atmosfera nella propria pittura e ritrae orchestre sinfoniche e concertisti in azione. Crea
visioni immaginarie in cui si mescolano musica e teatro attraverso la figura di Arlecchino, emblema della
commedia dell’arte e del carnevale di Venezia che scopre durante il suo primo soggiorno nella città dei
dogi nel 1938. Soggetto prediletto di numerosi pittori, da Cézanne a Picasso, quel personaggio dalle
mille sfaccettature gli ispira dal 1939 al 1946 una serie di arlecchini musicisti.
Nona sezione - Dufy e i maestri
Raoul Dufy si è sempre tenuto a distanza dall’opera dei grandi maestri viventi, a eccezione di Monet nel
corso della giovinezza trascorsa a Le Havre e di Cézanne tra il 1908 e il 1919.
Intorno alla fine degli anni venti, dedica vari dipinti al “suo Dio”, Claude Lorrain, l’inventore insieme a
Poussin del paesaggio classico francese. Si tratta di assemblaggi liberi: il porto vecchio di Marsiglia, la
fontana di Vence, le rovine del Colosseo, passanti sulle banchine, un galeone all’ancora e una nave da
carico nera che fuma in lontananza, un soggetto su cui ritornerà negli ultimi anni di vita. Da Lorrain
riprende solo la struttura del porto, punto d’arrivo o di partenza per lontani paesi immaginari e il sole
frontale rosso che inonda il paesaggio di una luce calda.
Alla fine degli anni trenta, osa confrontarsi con i maestri del passato: Tiziano (la Venere di Urbino
ammirata durante una visita al Prado di Madrid), Tintoretto (il Concerto delle Muse visto a Monaco nel
1909) e Botticelli (La nascita di Venere, contemplata a Firenze nel 1922, di cui realizzerà una decina di
versioni). Le figure della Nascita di Venere cui Dufy applica il suo metodo cromatico sono estremamente
schematizzate, ma mostrano un disegno libero e duttile.
Negli anni quaranta riprende il celebre Ballo al Moulin de la Galette di Renoir in cui rievoca con grande
fluidità e leggerezza la giovinezza trascorsa a Montmartre e infonde nella sua versione maggiore gioia e
movimento. Il verde domina la scena, l’azzurro e il rosa si spandono sui personaggi, gli accenti di colore
sono sottolineati dalla scioltezza del pennello.
Decima sezione - In riva al mare
Raoul Dufy non smetterà mai di rappresentare i paesaggi marittimi, dalla Normandia alla Provenza.
L’amore che nutre per il mare, i porti e le località di villeggiatura costituisce la sua prima fonte di
ispirazione e domina tutta la sua opera. È affascinato dallo spettacolo della natura, dall’intensità della
luce e dai suoi riflessi sull’acqua, dall’estensione dei panorami, oltre che dall’animazione che
caratterizza i luoghi di svago della buona società nel periodo tra le due guerre.
Spettatore di feste marinare e popolari, di attività balneari e della pratica dei nuovi sport apprezzati
dall’alta società, ne offre una visione gioiosa e trae da quelle scene un repertorio di motivi ricorrenti:
regate, battelli impavesati, velieri, spiagge, imbarcaderi, pescatori, diportisti, onde, conchiglie e casinò
dall’estuario della Senna fino alla Costa Azzurra.
Marcati dalle varie tendenze della modernità, i suoi dipinti mostrano in successione l’interesse
dell’autore per il tocco impressionista, il colore fauve, il rigore cézanniano e la liberazione del colore
dissociato dalla linea. Queste composizioni sostengono la sua libertà inventiva e lo spingono a
sperimentare, permettendogli di esprimere appieno la sua teoria della “luce-colore” e di plasmare lo
spazio senza sottostare a vincoli di prospettiva o di scala. Trattato come un fondale verticale,
punteggiato da segni grafici che suggeriscono il movimento delle onde e i riflessi, il mare si fonde con
l’azzurro del cielo, “l’unico colore che, in tutte le gradazioni, conserva la propria individualità”, afferma
Dufy.
Undicesima sezione - Fiori e bouquet
Dufy ha sempre nutrito un vivo interesse per i fiori e le piante. Tra il 1910 e il 1930 ha addirittura
trasformato quell’interesse in una specialità, producendo per le aziende tessili di Paul Poiret e per il
setificio lionese Atuyer-Bianchini-Férier un considerevole numero di fantasie floreali di grande successo.
Sebbene non abbia creato un suo erbario, a differenza di certi disegnatori art nouveau, la sua mano
sicura eccelle in un esercizio in cui fioriture, arabeschi ed ellissi giocano da pari a pari con una tavolozza
dalle sfumature infinite. Dufy sa bene come ridurre all’essenziale motivi quali le ampie foglie delle palme,
le fronde degli alberi, le spighe di grano o i petali di una rosa.
Negli anni quaranta, il tema floreale assume una nuova dimensione. Affetto da artrite reumatoide, Dufy
soggiorna presso lo scrittore Roland Dorgelès a Montsaunès, un villaggio dell’Alta Garonna. Mentre il
clima meridionale allevia i suoi dolori, l’ambiente bucolico e rurale si trasforma in una fonte di ispirazione
e lo induce a dipingere il lavoro nei campi, mazzi di fiori e composizioni di frutti ritratti dal vero.
I mazzi di fiori improvvisati mostrano la sua eccellente capacità di sintesi, è un disegnatore che non ha
alcun bisogno di un supporto o di uno sfondo. Nelle sue opere domina il colore, distribuito in chiazze,
campiture e linee. L’attività di illustratore di Dufy prende principalmente le mosse da questi acquerelli,
altrettante prove del carattere panteista dell’artista.
Dodicesima sezione - L’atelier
Raoul Dufy consacra molte serie al tema dell’atelier, del pittore e della sua modella, che variano
secondo i vari luoghi in cui l’artista ha vissuto e creato. Plasmando opere incentrate sul proprio universo
artistico, Dufy ha raffigurato di volta in volta i suoi studi a Le Havre, in Rue Séguier e sull’Impasse de
Guelma a Parigi, a Nizza, in Rue Jeanne-d’Arc e in Place Arago a Perpignan.
Come una metafora della creazione, l’atelier testimonia l’attività del pittore attraverso i suoi strumenti di
lavoro e oggetti familiari: cavalletti, tele vergini o già iniziate, che appaiono come una forma di
autoritratto. Nel 1911, Dufy si trasferisce nello studio di Impasse de Guelma, ai piedi di Montmartre, lo
spazio che si trasformerà da allora nel suo atelier principale. Tra il 1928 e il 1930, vi realizza
un’importante serie di nudi in piedi o sdraiati che si stagliano sullo sfondo azzurro, il suo colore preferito,
quello con cui ha dipinto le pareti.
Nelle vedute d’interni eseguite in studio a Perpignan, tra il 1940 e il 1950, l’artista ricorre a una mise en
abyme di opere proprie e scene di strada viste attraverso le finestre. Inondato di luce, l’atelier di Rue
Jeanne-d’Arc abbonda di toni caldi dalle sfumature arancioni e mostra come il clima meridionale
trasformi la sua tavolozza. Il secondo studio, in Place Arago, dà origine a un’ultima serie di tele che vede
emergere il motivo di una consolle rocciosa sormontata da uno specchio, che sottolinea la propensione
del pittore per l’economia dei dettagli e la monocromia. Questo ciclo costituisce il culmine della sua
ricerca sulla pittura tonale.
Tredicesima sezione - La Fata Elettricità, “il dipinto più grande del mondo”
La Fée Electricité (La Fata Elettricità) è stata concepita e realizzata da Raoul Dufy per il padiglione della
luce e dell’elettricità, nel quadro dell’“Esposizione internazionale delle arti e delle tecniche nella vita
moderna” tenutasi a Parigi nel 1937.
Dufy ha a disposizione appena undici mesi per completare il progetto. Accetta la sfida e dimostra di
essere un direttore d’orchestra senza pari. Della documentazione scientifica si occupa il fratello
dell’artista, Jean Dufy, assistito da un esperto. Lo stesso artista prende appunti e incontra alcuni
scienziati.
Il pittore rinuncia alla tela per lavorare su duecentocinquanta pannelli di compensato di 2 x 1,20 metri e
in una fabbrica dismessa che funge da atelier allestisce un vero e proprio cantiere. Una volta dipinti, i
pannelli vengono avvitati su un telaio metallico.
Dufy sceglie di impiegare i colori Maroger (“olio resinato, emulsionato in acqua gommata”) per il loro
breve tempo di essiccazione. La duttilità e la trasparenza della pittura la fanno assomigliare
all’acquerello. Oltre a uno studio in scala 1/10, il pittore realizza numerosi disegni, acquerelli, disegni su
carta da lucido che utilizza per tracciare sui pannelli i contorni delle forme fotografate su lastre di vetro e
poi proiettate, con una lanterna magica, nella scala desiderata.
Come una sorta di poema sinfonico, questa grande decorazione “poetica, storica e pittorica” evoca
l’osservazione e l’invenzione dell’elettricità da parte di scienziati e inventori, disposti in fregio
dall’antichità ai giorni nostri, e gli effetti delle loro scoperte sulla vita quotidiana e sul progresso
dell’umanità. L’artista vi dispiega piccoli episodi narrativi ispirandosi alla tecnica del fotomontaggio,
incastra le storie una nell’altra, e modifica le scale, sopprimendo la prospettiva e l’orizzonte. Utilizza
grandi campiture di colore per collegare visivamente le scene l’una all’altra.
Informazioni utili per la visita
Orari: dal martedì a domenica dalle
10.00 alle 20.00.
Lunedì chiuso.
Biglietti: intero € 10. |