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Mostra Boris Mikhailov: Ukranian diary al Palazzo delle Esposizioni di Roma

La Mostra Boris Mikhailov: Ukranian diary al Palazzo delle Esposizioni di Roma: le opere e le informazioni, il periodo e gli orari d'apertura, i contatti e il costo dei biglietti.

Mostre a Roma per settore artistico: Pittura, Scultura, Arte Moderna, Arte Contemporanea, Fotografia, Archeologia.

Mostra Boris Mikhailov: Ukranian diary Roma
Boris Mikhailov: Ukranian diary - Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale, 194 - Roma

(Foto: Boris Mikhaïlov, Dalla serie "Il sandwich di ieri", 1966-68. © Boris Mikhailov, VG Bild-Kunst, BonnGermany | © Boris Mikhailov, by SIAE 2023.Courtesy Boris e Vita Mikhailov)

Mostra in corso dal 10 ottobre 2023 al 28 gennaio 2024

Palazzo Esposizioni Roma presenta la più importante retrospettiva fino ad oggi dedicata in Italia all’artista ucraino Boris Mikhailov (Kharkiv, 1938), curata da Laurie Hurwitz, in collaborazione con Boris e Vita Mikhailov.

Comunicato stampa della mostra Boris Mikhailov: Ukranian diary a Roma

La mostra è promossa dall’ Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e dall’Azienda Speciale Palaexpo, prodotta dall’Azienda Speciale Palaexpo e organizzata in collaborazione con la Maison Européenne de la Photographie di Parigi.

La mostra a Palazzo Esposizioni frutto di una politica culturale che incrementa le collaborazioni internazionali tra istituzioni, prosegue idealmente quella della Maison Européen de la photographie di Parigi curata da Laurie Hurwitz, in collaborazione con Boris e Vita Mikhailov, ampliandola con una sezione dedicata al lavoro svolto da Mikhailov a Roma.

Considerato oggi uno dei più influenti artisti contemporanei dell'Europa dell'Est, Mikhailov ha concepito, in oltre cinquant’anni, un corpus di lavori fotografici sperimentali che esplorano temi sociali e politici. Fin dagli anni Sessanta si è impegnato infatti a documentare i tumultuosi cambiamenti in Ucraina legati al crollo dell'Unione Sovietica e alle disastrose conseguenze della sua dissoluzione.

La sua pioneristica ricerca ha compreso negli anni la fotografia documentaria, il lavoro concettuale, la pittura e la performance. Concepita in stretta collaborazione con l'artista, la mostra riunisce più di 800 immagini dalle serie storiche più importante fino ai lavori più recenti. Mikhailov ha per lo più articolato il suo lavoro in serie, che variano enormemente in termini di tecnica, formato e approccio. La mostra riunisce le immagini selezionate da circa venti serie realizzate tra il 1965 e gli anni Duemila.

Mikhailov ha sfidato ogni categorizzazione scardinando codici visivi dati. Ha creato proficue connessioni tra fotografie e testi, e tra immagini diverse componendole spesso in sovrapposizioni e dittici su cui è intervenuto con sfocature, ritagli o colorazioni a mano che ne accentuano il carattere ironico, poetico o nostalgico. Fino a teorizzare il concetto di fotografia "di cattiva qualità": immagini concepite volutamente a basso contrasto, sfocate, piene di difetti visibili, su carta di scarsa qualità, al fine di sovvertire l'immaginario glorificato del realismo sociale e della fotografia patinata.

Le serie create nel periodo in cui l'Ucraina faceva parte dell'Unione Sovietica puntano a mettere in discussione la memoria collettiva e a rispecchiare le contraddizioni sociali esistenti all'epoca. In Yesterday's Sandwich, realizzata a partire dal 1965, l'artista mostra una duplice realtà, ambigua e poetica, giustapponendo bellezza e bruttezza. In Red (1968-1975) sottolinea l'onnipresenza del colore rosso, evocando la presenza pervasiva del regime comunista e il modo in cui si è introdotto nella coscienza individuale e nella memoria collettiva. Le serie Luriki (1971-1985) e Sots Art (1975-1986) sono una cinica riflessione sulla maniera in cui le immagini di propaganda idealizzano artificiosamente la realtà. Il lato nascosto dell'utopia del proselitismo è rivelato anche in Salt Lake (1986), immagini di bagnanti scattate clandestinamente sulla riva di un lago nel sud dell'Ucraina.

Mikhailov si serve spesso anche dell'umorismo come arma di sovversione: un mezzo di resistenza all'oppressione e un potenziale stimolo verso l'emancipazione. Così avviene nella serie degli autoritratti provocatori I am not I (1992) e National Hero (1992), dove più che una critica diretta della società si serve dell'autocritica e dell'ironia.
Altre serie realizzate durante e dopo il crollo dell'URSS testimoniano il fallimento sia del comunismo che del capitalismo in Ucraina e fanno luce sulle origini della guerra: da By the ground (1991) e At Dusk (1993) a Case History (1997-1998); mentre nell'emblematica serie Case History raffigura un ritratto devastante dei diseredati a Kharkiv, lasciati senza casa dalla nuova società capitalista.

Attraverso argomenti controversi trattati senza compromessi, Boris Mikhailov dimostra che l'arte possiede un potere sovversivo. Da oltre mezzo secolo, testimonia la presa del sistema sovietico sul suo paese, creando una narrazione fotografica complessa e potente della storia contemporanea dell'Ucraina che, alla luce degli eventi attuali, è ancora più toccante e illuminante. La mostra è accompagnata dal libro Boris Mikhailov 1965-2022, Mörel / MEP, Londra-Parigi 2023 (lingua inglese) e dalla pubblicazione bilingue (italiano e inglese), Saggi e Note. Essays and Notes, Mörel, Londra 2023, con testi dell’artista e di Simon Baker direttore della Maison Européenne de la Photographie (MEP) di Parigi, Laurie Hurwitz, Leigh Ledare.

EXHIBITION OVERVIEW

Le serie della mostra

“Perché lavoro in serie? Posso spiegarlo con una vecchia parabola su un gruppo di ciechi che non sanno cosa sia un elefante. Per capire l’elefante, ognuno si concentra su una parte diversa: uno afferra la proboscide, un altro la zanna, un altro ancora la coda, e ciascuno dà una descrizione specifica ma completamente diversa di quello che pensa che sia. Ma perché l’elefante sia un elefante, alla fine bisogna mettere insieme le descrizioni. Allo stesso modo, l’idea che una singola immagine contenga tutte le informazioni è una bugia; non credo nella verità assoluta. Esplorare qualcosa da angolature diverse restituisce un senso più elevato della verità. Mi servo della somma delle immagini, della somma delle sequenze per mettere in dubbio la correttezza di una sola percezione possibile. La vibrazione tra le diverse immagini espande le loro possibilità”. Boris Mikhailov

Salt Lake, 1986

“Sono andato in un luogo nel sud dell’Ucraina di cui avevo sentito spesso parlare mio padre, che era cresciuto da quelle parti”, racconta l’artista. “Negli anni Venti e Trenta, dopo la rivoluzione, la gente faceva il bagno in quei laghi, credendo che l’acqua calda e salata avesse proprietà curative. Ho visto folle accanto a una vecchia fabbrica, che si bagnavano e si cospargevano di fango tra i condotti. Devo aver fotografato tutto in due o tre ore.
Ci vedevo la quintessenza della vita di un qualsiasi sovietico. Nonostante l’ambiente atroce, inquinato, disumano, la gente aveva l’aria rilassata, calma e felice. Sembrava così strano che le persone desiderassero una situazione del genere, un luogo così assurdo, eppure erano lì: intere famiglie, donne e anziani, sdraiati come odalische o statue greche.”

Con il successivo viraggio al seppia l’artista ha conferito alle foto l’aspetto di un’altra epoca. “C’era una sorta di interazione, un amalgama, tra il vecchio e il nuovo. Vecchio, perché si trattava di qualcosa a cui aveva assistito mio padre, ma allo stesso tempo era una realtà che esisteva ancora, come in un trucco fotografico postmodernista. Era l’elaborazione di un’idea che avevo già in mente: siamo qui e non ci siamo. È oggi ed è molto tempo fa.”

Case History, 1997-1998

A pochi anni dal crollo del comunismo, Mikhailov ebbe modo di constatare che a Kharkiv, sua città natale, era emersa una nuova élite di milionari, ma allo stesso tempo i senzatetto erano aumentati in modo drammatico e una parte considerevole della popolazione era precipitata nella povertà. “Dopo un anno trascorso in Germania grazie a una borsa di studio, sono tornato in Ucraina. Qualcosa era cambiato. Kharkiv era più bella, la gente più ricca, c’erano auto ovunque. Poi ho notato delle ombre passare per la strada: erano i senzatetto e aumentavano di continuo. Rimasi scioccato. Mi venne in mente di dedicare un requiem a questi uomini e donne che stavano morendo; di fotografarli come se stessero andando alla camera a gas. Nella loro nudità indifesa, ho scoperto una realtà ancora peggiore tracciata dai segni sui corpi”.
Mikhailov realizzò una serie di 400 ritratti crudi e toccanti, trasgredendo intenzionalmente i codici del fotogiornalismo: pagava i soggetti, e lui e la moglie spesso li portavano a casa per nutrirli o offrire loro un bagno caldo in cambio di pose, che talvolta evocano la Pietà o la Deposizione,. “Ho ritenuto che fotografare queste persone fosse una mia responsabilità sociale”, afferma l’artista.

Green, 1991-1993

Questo monumentale trittico di stampe alla gelatina d’argento colorate a mano mostra un mondo che va tragicamente in pezzi. Rottami in un paesaggio malato, invaso dalla vegetazione. Sulla destra, una figura tenta invano di mettere in moto un trattore malconcio. “Questo per me è il colore della palude… è il muschio sulla vita sovietica passata”, afferma l’artista. Realizzato subito dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, il lavoro di Mikhailov è una metafora del deterioramento della società.
A differenza dei suoi colleghi, costantemente alla ricerca della perfezione tecnica, Mikhailov sentiva che le fotografie confezionate in modo impeccabile e stampate su carta lucida non sarebbero riuscite a riflettere la condizione sociale che vedeva intorno a sé: “una fotografia pessima per una pessima realtà”. Le sue stampe su carta di scarsa qualità sono volutamente a basso contrasto, sfocate e piene di difetti evidenti. Un modo per sovvertire l’immagine glorificata del realismo sociale, concetto che, in questo caso, l’artista estremizza con macchie e colature sulla carta sottile e sgualcita, come a voler incarcare le vite logore e immiserite da cui è circondato.

At Dusk, 1993

Subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica, Mikhailov andò in giro per le strade di Kharkiv con una macchina fotografica con obiettivo rotante, in grado di coprire una panoramica di 120 gradi. Tenendola allacciata all’altezza della vita, era come se guidasse lo sguardo dell’osservatore verso il basso, portandolo vicino agli indigenti in fila per il cibo o sdraiati a terra.
Alludendo alla transizione dell’Ucraina verso l’indipendenza, dipinse le stampe a mano in blu cobalto, il colore del crepuscolo. Il blu ricorrente è anche intimamente legato ai traumatici ricordi d’infanzia dell’artista. Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, il padre era andato via da casa per arruolarsi come ufficiale nell’Armata Rossa; la madre, ebrea, era fuggita a Kirov con Boris treenne, a bordo di uno degli ultimi treni in partenza da Kharkiv. L’artista ricorda di essere stato svegliato nel cuore della notte dal suono delle sirene antiaeree: “Il blu, per me, è il colore dell’assedio, della fame e della guerra… Ricordo chiaramente i bombardamenti, le sirene che ululavano e i fasci di luce nel meraviglioso cielo blu scuro. Blu, blu, e poi azzurro...”.

Red, 1965 -1978

A cavallo tra il documentario e l’arte concettuale, Red riunisce più di 70 foto scattate a Kharkiv tra la metà degli anni Sessanta e gli anni Settanta, accomunate dalla presenza del colore rosso, potente simbolo della rivoluzione e dell’impero sovietico. L’idea era mostrare fino a che punto la vita quotidiana fosse stata pervasa dall’ideologia comunista. Le fotografie sono apparentemente disposte senza un ordine, a formare un reticolo sconnesso, che trascina i visitatori in una visione complessa e disarticolata.
“Le parole rosso e bellezza hanno la medesima radice nella lingua russa. Ma rosso significa anche Rivoluzione, evoca il sangue e la bandiera rossa. Tutti lo associano al comunismo. Solo pochi, però, sanno davvero quanto il rosso abbia permeato le nostre vite. Le manifestazioni e le parate sono una parte fondamentale di questa serie. È lì che veniva creata una delle immagini principali della propaganda: il volto felice della vita sovietica, con una fiducia totale nel futuro. Le manifestazioni divennero estremamente kitsch e volgari, non una festa popolare, ma una sorta di crociata sovietica. A volte mi sentivo circondato da orde di cinici, vittime e stolti, e dietro di loro quelli che sembravano poliziotti, con addosso le fasce rosse. Era come se il regime stesse usando per i propri scopi il desiderio di festa della gente. Era importante, per me, fotografare quelle persone in un modo che permettesse di distinguere il sovietico dall’uomo”. Berdyansk, Beach, Sunday, 11 am to 1 pm, 1981
“Queste fotografie rientravano nei miei tentativi di sfidare l’ideale. L’eroe ormai era grasso, obeso. Andava in vacanza. Si era spogliato. Questo spogliarsi dell’eroe ha introdotto nel mio lavoro qualcosa di importante.
In quel periodo, a Berdjans’k ho incontrato un uomo, un tipo normale che però in un certo senso sembrava immune alla pressione dell’ideologia, come se su di lui il regime non avesse potere. Era semplicemente com’era, impegnato nelle sue attività quotidiane. Tratti sovietici profondamente radicati si rivelavano all’improvviso: eccolo lì, in piedi in riva al mare con il braccio proteso in avanti… di punto in bianco quella che vediamo è la posa di un leader sovietico”, racconta l’artista.
Virando al seppia le stampe, l’artista infonde alle immagini un senso di nostalgia: “Questa foto mi ha ricordato le immagini scattate in America all’epoca della Grande Depressione, cinquant’anni prima. Un’immagine moderna che assomiglia a una di tanto tempo prima sembra chiederci dove siamo adesso. Chiamo questo fenomeno associazione fotostorica parallela”.

I Am Not I, 1992

In queste immagini provocatorie, illuminate in modo drammatico, Mikhailov interpretò l’antieroe, in autoritratti ironici e caricaturali che irridevano lo stereotipo maschile idealizzato dal regime sovietico appena caduto. L’artista mostra il proprio corpo nudo, vecchio e vulnerabile, con una parrucca nera riccioluta, mentre tiene in mano un clistere oppure brandisce una spada o un fallo artificiale, ricordando ora Buster Keaton, ora il mimo Marcel Marceau. “Imitando le icone della cultura di massa occidentale, come Rambo”, assume pose pseudo-atletiche o contemplative che in alcuni casi richiamano opere di Rodin o Caravaggio. “Il Paese stava cambiando. Se nell’era sovietica sapevamo chi erano gli eroi, ora l’idea stessa di eroe era stata spazzata via. Non rimaneva, quindi, che un antieroe”.

National Hero, 1991

In uniforme militare sovietica, ma con i ricami tradizionali ucraini al posto delle mostrine, Mikhailov realizzò un autoritratto apparentemente semplice, ma dall’ambiguità disturbante, in cui la bellezza delicata del volto, con i suoi brillanti occhi azzurri e lo sfondo rosa confetto sfidano le immagini classiche della mascolinità.
“Nel 1991 la dissoluzione dell’Unione Sovietica, che viveva un processo di disintegrazione da metà degli anni Ottanta, era ormai compiuta: si era spaccata in quindici repubbliche nazionali indipendenti, che in principio conservavano parte della stessa passività. Ho pensato che un Paese nuovo dovesse avere un nuovo eroe nazionale. Ho realizzato una serie di autoritratti, in uniformi decorate con elementi ornamentali ucraini, come se stessi elaborando nuovi simboli di Stato, ma anche dipingendo la foto come se guardassi indietro al contesto della censura sovietica, prendendo in giro il modo in cui la propaganda sovietica rendeva belle situazioni banali”.

Dance, 1978

Dance cattura spensierati momenti di ballo all’aperto, a Kharkiv. Scene che riflettono l’interesse di Mikhailov per i soggetti ordinari. “Dance non descrive qualcosa di squisitamente sovietico. Queste persone potrebbero provenire da qualsiasi luogo, hanno una sorta di unicità generica, coerente con una visione globale e umanistica della vita”, spiega l’artista. “Diverse immagini mostrano donne che ballano insieme, come se si preparassero inconsciamente alla guerra, a quando gli uomini sarebbero stati mandati di nuovo lontano”.

Series of Four, early 1980s

Questa serie nasce per caso: non avendo abbastanza carta fotografica, Mikhailov stampò sullo stesso foglio quattro fotografie in bianco e nero di piccolo formato, come se si trattasse di un’unica immagine. “Volevo fare delle stampe a contatto ma non avevo carta di piccolo formato, così ho montato quattro immagini sullo stesso foglio. Ho notato che quando tutte e quattro le fotografie erano state scattate da un unico punto l’effetto mi piaceva: si creava una sorta di compressione dello spazio”.
Nella serie viene concettualizzato proprio questo. I punti di vista multipli diventano metafora di una realtà complessa, una visione ambigua e frammentata di un mondo in costante mutamento, in chiara contraddizione con l’unilateralità dell’ideologia sovietica. L’effetto cinematografico della rappresentazione, inoltre, invita gli osservatori a cercare connessioni inaspettate tra le immagini. Scattate d’inverno in giro per i sobborghi brulli di Kharkiv, queste “brutte” immagini, storte, stampate in modo approssimativo e piene di difetti, ritraggono una serie di non-eventi, descrivono una vita di routine e di noia.

Luriki (Coloured Soviet Portraits), 1971-1985

Dopo aver perso il posto da ingegnere, Mikhailov si guadagnava da vivere come fotografo commerciale. Lavorando sul mercato nero, ingrandiva, ritoccava e colorava a mano scatti di matrimoni, ritratti di neonati o di familiari morti in guerra. In quello che viene considerato il primo utilizzo creativo di materiale ritrovato della fotografia sovietica contemporanea, Mikhailov poi si appropriò di queste foto per la sua sperimentazione. Usando sovente colori kitsch, le rese – come lui stesso afferma – più “belle” senza infrangere la legge ma al tempo prendendosi gioco del modo in cui la propaganda sovietica glorificava eventi banali. “Da persona comune, conoscevo bene la vita comune, e questo mi è servito a reimmaginare i materiali che avevo raccolto e a riutilizzarli per creare una serie di ritratti dipinti in stile sovietico, cercando di imitare il gusto popolare. Luriki rappresentava l’iconografia dello stile di vita sovietico. Nel loro insieme, le foto sembravano un album di famiglia, una raccolta di situazioni surreali e ridicole. Facevano sorridere la gente, divertita dall’ironia, ma dal mio punto di vista erano sovversive”.

Sots Art, 1975-1986

Mikhailov aveva scattato fotografie di immagini socialiste approvate (parate, studenti in addestramento militare, giovani che fanno ginnastica…), che poi stravolse colorandole a mano con colori sgargianti, per esprimere la propria disillusione nei confronti degli ideali sovietici. “Questo ha aggiunto ironia, mostrando ciò che era assurdo, persino grottesco, della nostra vita, allo stesso tempo bella e kitsch” commenta l’artista. “La sfida consisteva nel realizzare un’immagine che non fosse dichiaratamente antisovietica, ma che contenesse sottili cenni di antisovietismo. Invece di essere apertamente critico – cosa che ti avrebbe spedito in prigione – dovevi trovare un modo sottile per fotografare soggetti che non fossero proibiti. Soggetti brutti da rendere belli”.
Il titolo di questa serie si riferisce a una corrente artistica fondata nel 1972 dal duo moscovita Komar e Melamid, che decostruiva il realismo socialista e lo mescolava a elementi del Dadaismo e della Pop art. “Questo tipo di infantilismo, colorare a mano le fotografie come fanno i bambini era, così come tutta la fotografia dissidente sovietica, un modo per mettere in discussione, per delegittimare le immagini che ci arrivavano dalla televisione e dagli schermi cinematografici, da ogni dove”.

Yesterday’s Sandwich, mid-1960s-mid-1970s

“Da autodidatta piuttosto sbadato, un giorno ho commesso un errore che sarebbe stato tabù per qualsiasi fotografo professionista: inavvertitamente ho gettato sul letto un mucchio di diapositive e due si sono incollate tra loro. Affascinato dall’immagine che ne veniva fuori, una scena completamente nuova e metaforica, ho iniziato a sovrapporre una diapositiva sull’altra, come un sandwich. Ho continuato a sperimentare, sostituendole a caso e ottenendo nuove combinazioni, che riflettevano il dualismo e le contraddizioni della società sovietica.
Era un periodo di significati nascosti e messaggi in codice. Data la scarsità di notizie reali, tutti erano sempre alla ricerca della più piccola informazione, sperando di carpire un segreto o di leggere qualcosa tra le righe. La crittografia era l’unico modo per esplorare ambiti proibiti come la politica, la religione, la nudità. La serie Sandwich andava contro i principi dell’arte ufficiale”. E come tutti i lavori non ufficiali, nascondeva al suo interno molte allusioni in codice.” All’inizio degli anni Settanta, Mikhailov abbinò alla proiezione delle diapositive il brano dei Pink Floyd The Dark Side of the Moon (1973), che per l’artista esprimeva “un’enfatizzazione della bellezza” o “il paradiso perduto”.

Viscidity, 1982

All’inizio degli anni Ottanta, Mikhailov realizzò una combinazione concettuale di testo e immagine, dando vita un nuovo genere di libro d’artista che sarebbe diventato oggetto di culto. Incollò con noncuranza le sue fotografie su pezzi di carta e a margine scribacchiò pensieri, banali, poetici o filosofici. Pensieri frammentari che non volevano essere didascalie, né spiegazioni delle immagini, anzi erano spesso del tutto estranei alle foto, ma ugualmente importanti. Una riflessione composita sulla stagnazione sociale in Unione Sovietica.

“La viscidità è la condizione in cui il Paese viveva allora: una vita quieta, tranquilla, anonima, piatta, un periodo di profonda stagnazione politica, una routine immobile. Non esisteva catarsi, né nostalgia, solo una grigia quotidianità. Non succedeva nulla e non c’era mai nulla di interessante. Le mie fotografie non offrono qualcosa di nuovo: sono vecchie, sono monotone. Nessuno vuole roba del genere. Qualcosa mi ha spinto a scrivere la tensione interna della disperazione. È la tensione che unisce queste pessime fotografie a questi pessimi testi, descrivendo la viscidità della vita che mi circondava.
Non c’è bellezza qui, solo immutabile e atemporale banalità”, ha scritto. “Il desiderio di immortalare una scia nella neve mi ha semplicemente condotto ai bidoni della spazzatura”.

By the Ground, 1991

Nel 1991, quando l’Unione Sovietica crollò, Mikhailov scese in strada tenendo la macchina fotografica all’altezza della vita. Attraverso questo formato, generalmente usato per ampie vedute e splendidi paesaggi, Mikhailov immortalò invece desolanti scene di strada che gli riportavano alla mente Bassifondi (1901-1902), l’opera teatrale di Maksim Gor’kij sull’estrema povertà del proletariato in Russia. “Mi resi conto che avevamo raggiunto quegli abissi, che quegli abissi erano i nostri. Tutto cominciava a crollare. Il Paese si stava sgretolando. Le strade traboccavano di poveri. Le strade sono lo specchio dei processi sociali. Io volevo fotografare tutto questo: fotografare, fotografare e ancora fotografare la vita a livello del suolo.” Virando le stampe argentate ai bruni, Mikhailov restituì la sporcizia e la polvere, al tempo stesso infuse alle immagini un senso di nostalgia. “Ho invecchiato le immagini virandole al seppia, inserendo gli scatti negli strati del tempo per innescare associazioni parallele e fotostoriche, per mostrare che la fotografia è ormai illusoria come l’esistenza stessa”.

Black Archive, 1968-1979

Black Archive documenta la vita quotidiana a Kharkiv, rivelando la grande distanza tra esterno e interno. All’epoca, chiunque scattasse foto per la strada poteva essere preso per una spia. Nello spazio pubblico, le foto catturano clandestinamente pedoni solitari, spesso di spalle e da strane angolazioni, mentre la sfera privata rappresenta uno spazio di libertà, come negli scatti allegri di donne nude che mostrano orgogliose le loro curve.
La serie introduce anche il concetto di “fotografia brutta” di Mikhailov: la realizzazione di immagini piccole, stampate in modo approssimativo, spesso sfocate e a basso contrasto. Volutamente piene di difetti come metafora e strumento di critica sociale.

Studies of Rome, 2002

Nel 2002, Mikhailov partecipò alla prima edizione di FotoGrafia - Festival Internazionale di Roma ideato da Marco Delogu, dove espose il suo lavoro con Nan Goldin al MACRO. Per l’attuale mostra a Palazzo Esposizioni Roma l’artista ha creato una composizione utilizzando le istantanee del suo archivio scattate durante quel viaggio a Roma. Roma, la “città aperta”, non può essere fotografata… ha resistito a milioni di scatti. È possibile catturare l’atmosfera della città in base alle proprie sensazioni, intuizioni, contemplazioni? Puoi andare dietro a qualcuno sperando che ti conduca da qualche parte, ma è come quando scali una montagna: vedi soltanto i piedi della persona che hai davanti e nient’altro.
Tutte le strade portano a Roma! Potremmo dire che lo spirito della città è arrivato a me grazie al cinema italiano, ma il vero incontro è avvenuto solo quando ho conosciuto un romano, Gigi Giannuzzi. La prima volta che siamo venuti insieme a Gigi abbiamo visitato tutta Roma. In quell’occasione ho filmato parecchio, ma per molto tempo ho tenuto da parte quel materiale, convinto che la città non mi si fosse concessa. Ciononostante alcune di quelle immagini le ho utilizzate, e lo faccio ancora. Questa serie, messa insieme dalle onde della memoria, proviene dal mio archivio su Roma. Grazie alla composizione che ho immaginato per questa mostra, ha assunto un significato nuovo per me.
Roma ha accenti unici: una sorta di galleria delle statue zeppa di cavalli dell’antica Roma; la luce divina dei quadri di Caravaggio nella penombra di una chiesa; la desolazione della spiaggia di notte con le ombre di un tragico ricordo… A volte sembrava di essere in un film: Gigi, che sulla strada per Ostia evitava il traffico passando con l’auto sul marciapiede; l’incontro a Roma con un vero tanguero argentino, serio, intenso, pur non ballando. Una serie di inquadrature che sembrano di nulla in particolare: camminare, stare in piedi, sedersi, osservare, il fluire di esperienze sensoriali. Questi scatti banali, spesso ripetuti, trovano per me un senso nelle possibili future connessioni compositive. E in questa vetrina, con piccole foto a prima vista insignificanti, compongo scenari diversi: la notte, la spiaggia, una strada, una chiesa, una casa… che vedo in una prospettiva dall’alto… E ogni cosa, come se fosse su un pilastro, riporta a immagini della serie Temptation of Death (2019), un richiamo al memento mori…

Il respiro della composizione, però, ha a che fare con “la vita”, il tempo e lo spazio; il respiro è vita! E “il respiro” nasce dall’interazione tra opere grandi e piccole, tra i gruppi di opere, nasce dai collegamenti e dagli spazi vuoti tra loro… Se, come ammoniva Buñuel, la verità non esiste, qui c’è la verità della mia percezione di questa città, legata alla storia, alla religione, al cinema. Dal fondo della mia mente mi giungono le parole di Gigi: “Bob, che vuoi?”. E le immagini affiorano dagli abissi della memoria: l’incontenibile Gigi… La chiesa dove, per la prima volta nella vita, rimasi profondamente colpito da un circolo silenzioso di persone, al centro una mano posata sulla testa di un sofferente… E affiorano i nomi: Gigi, Guido, Cristiana, Stefania, Marco… Per me, che venivo da un mondo assai diverso, erano tante le cose che sembravano degne di nota! Forse questi istanti non sono tanto Roma quanto piuttosto le sensazioni che mi provocava. E come si può notare, è una metodologia.

Roma è “la grande bellezza”, il mistero assoluto! Entrambi impossibili da comprendere, anche se molti hanno provato a farlo.
Sono grato al passato per non aver avuto il tempo di ringraziare, e sono grato al presente per poterlo fare adesso: “Alla città eterna, a tutti coloro che ho seguito, grazie per avermi aiutato a trovare il collegamento tra la Roma che conosco e la Roma che possiedo!”

Dedico questo lavoro alla memoria di Gigi Giannuzzi, che qui è nato e qui è rimasto per sempre. Boris Mikhailov, agosto 2023

Boris Mikhailov un artista dissidente.

Una figura chiave della Kharkiv School of Photography (KSOP)
Nel 1971, Boris Mikhailov fu uno degli otto fotografi che fondarono il gruppo Vremya a Kharkiv: un collettivo artistico sperimentale anticonformista considerato il nucleo della Kharkiv School of Photography. I membri del gruppo (Boris Mikhailov, Evgeniy Pavlov, Jury Rupin, Anatoliy Makiyenko, Oleg Malyovany, Oleksandr Sitnichenko, Oleksandr Suprun e Gennadiy Tubalev) formalizzarono così un movimento clandestino nato in un club fotografico informale negli anni '60, per creare uno strumento visivo per la resistenza culturale.

Biografia

Laureato in ingegneria, Boris Mikhailov (Kharkiv, 1938) è un fotografo autodidatta. A metà degli anni Sessanta, i suoi superiori gli affidarono una macchina fotografica con il compito di realizzare un cortometraggio sulla fabbrica statale in cui lavorava. Lui la utilizzò anche per fare foto di nudo alla moglie, sviluppandole nella camera oscura della fabbrica. Durante una perquisizione il KGB trovò gli scatti e Mikhailov fu licenziato in tronco. Offeso e indignato, decise di dedicarsi a tempo pieno alla fotografia. All’epoca, se un lavoro non era conforme all’estetica ufficiale dell’URSS, l’artista rischiava l’arresto, l’interrogatorio e persino il carcere. Immagini poco lusinghiere della vita quotidiana come quelle dei poveri, dei malati, o degli ubriachi, erano proibite. Il nudo era considerato pornografia, un reato penale. Bastava scattare foto in una stazione ferroviaria per essere sospettati di spionaggio. Sotto costante sorveglianza, Mikhailov veniva perseguitato e vessato; le sue macchine fotografiche e i rullini più volte distrutti. Si guadagnava da vivere con lavori part time o come fotografo per il mercato nero. Fu così che diede vita a un corpus parallelo di lavori personali e sperimentali, a tratti poetici, giocosi e intransigenti, in netta contrapposizione con le immagini idealizzate della vita sovietica. Esponeva i suoi scatti nelle “cucine dissidenti”, mostre clandestine organizzate in abitazioni private. All’inizio degli anni Settanta, con uno ristretto gruppo di amici, fondò anche un collettivo di fotografi sperimentali e anticonformisti, che in seguito avrebbe costituito il nucleo della Scuola di fotografia di Kharkiv. Mikhailov ne divenne il leader non ufficiale e la forza trainante della loro estetica. L’influenza del gruppo è ancora molto sentita in Ucraina: a tutt’oggi quelle idee ispirano una seconda e terza ondata di giovani artisti, per molti dei quali Boris Mikhailov è uno stimatissimo mentore. In una produzione, il più delle volte paradossale e autoironica, in cui gioca con un’ampia gamma di immagini, Boris Mikhailov documenta senza compromessi la cruda realtà sociale del suo tempo. L’alternanza di queste immagini struggenti — belle e brutte, inquietanti e commoventi, brutali e tenere –- consente una visione della storia coinvolgente e unica, che risuona oggi più forte che mai.

Attualmente considerato una delle figure di spicco della scena artistica internazionale, nella sua carriera Mikhailov ha ricevuto molti premi prestigiosi, tra cui il Goslar Kaiserring Award nel 2015, il Citibank Private Bank Photography Prize (ora Deutsche Börse Photography Foundation Award) nel 2001 e l’Hasselblad Award nel 2000. Ha rappresentato l’Ucraina alla Biennale di Venezia nel 2007 e poi di nuovo nel 2017. I suoi lavori sono stati esposti nei principali musei di tutto il mondo: dalla Tate Modern di Londra, al MoMA di New York e, più recentemente, alla Berlinische Galerie e al C/O Berlin, al Pinchuk Art Center di Kiev, allo Sprengel Museum di Hannover, alla Staatliche Kunsthalle di Baden-Baden, alla Maison Européenne de la Photographie di Parigi. Nel 2021, l’installazione con proiezione di diapositive Temptation of Death (2017-2019) è stata insignita del Premio nazionale Shevchenko, primo riconoscimento ufficiale del lavoro di Mikhailov in Ucraina. Boris Mikhailov vive e lavora a Berlino con sua moglie Vita.

Informazioni utili per la visita

Orari: da martedì a domenica dalle 10.00 alle 20.00. Lunedì chiuso. L’ingresso è consentito fino a un’ora prima della chiusura.
Biglietti: intero € 12,50; ridotto € 10.
Sito web: Palazzo delle Esposizioni

Come arrivare Stazione Termini Roma ⟷ Palazzo delle Esposizioni di Roma

Al Palazzo delle Esposizioni si arriva dalla Stazione Termini di Roma con una passeggiata di circa 1.3 Km.

Mezzi pubblici: linee autobus 64 e 70 con salita alla fermata Termini e discesa alla fermata Palazzo delle Esposizioni. Poi a piedi per 20 metri per Via Nazionale.

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